Tommaso Spadaro, mafioso scomunicato e mai riscattatosi, ha avuto un funerale – blindatissimo – celebrato nella chiesa del cimitero palermitano di Sant’Orsola. Il questore
Renato Cortese ha infatti vietato le esequie pubbliche. Spadaro, boss di Cosa Nostra, è morto a Perugia, il 14 Febbraio, all’età di 82 anni. L’ex capomafia stava scontando la fine della sua condanna ai domiciliari: 30 anni per essere stato il mandante dell’omicidio del Maresciallo dei Carabinieri
Vito Ievolella, nel lontano 1981, freddato dai sicari in piazza Principe di Camporeale, mentre era a bordo della propria Fiat 128 con la moglie
Iolanda, in attesa della figlia Lucia, come riportato dall’
Ansa.
Nonostante Spadaro non si fosse mai pentito,
e non avesse mai collaborato con la magistratura, Angelo Li Calzi, il prete che ha celebrato le esequie, ha sostenuto il contrario. Convinto di non potersi porre al di sopra della “legge morale”, né lui, né i magistrati, l’ecclesiastico ha affermato che
Tommaso Spadaro, ogni giorno, “
recitava il rosario“. Dieci anni fa, l’uomo si era addirittura laureato con una legge su Gandhi e la non violenza, come riportato da
Palermo Today.
Spadaro era suocero del pentito di mafia
Pasquale Di Filippo ma, a differenza di
Totò Rina, le sue esequie si sono svolte comunque. Spadaro era considerato il boss del contrabbando e della droga, tanto che, al processo per l’omicidio del Maresciallo Ievolella, si definì il “
Gianni Agnelli” di Palermo per le sue ricchezze e per aver dato lavoro ai giovani. Elemento di spicco di Cosa Nostra, non ha mai mostrato pentimento, né collaborato con i Magistrati, restando fermo sui suoi punti. E’ stato uno storico contrabbandiere di sigarette, poi si è avviato alla criminalità ed è arrivato alla mafia. Ad arrestarlo, per la prima volta, è stato il Giudice
Giovanni Falcone con l’accusa di contrabbando.
Eppure, la celebrazione delle esequie avrebbe trovato motivo proprio nel suo credo. Non importa dunque, che il boss non abbia mai mostrato pentimenti con la magistratura, soprattutto se quelle ricchezze, una volta sequestrate, non siano state usate dallo Stato stesso come risarcimento. Ma in fondo, conclude Li Calzi, “chi siamo noi per giudicare?”.