I Ciontoli dicevano bugie agli infermieri, mentre Marco moriva

Nuove inquietanti verità emergono sull’omicidio di Marco Vannini. Ora, a parlare, sono gli infermieri che l’hanno soccorso quella notte.

I Ciontoli dicevano bugie agli infermieri, mentre Marco moriva - Vannini

Si chiamano Ilaria e Christian e le loro voci si uniscono alla lunga lista di tutte quelle persone che, sempre più, si sono opposte alla sentenza per l’omicidio di Marco Vannini. Quelle persone rimaste a bocca aperta, dopo la sentenza definitiva che ha condannato Antonio Ciontoli, il padre della fidanzata di Marco, che lo ha sparato per sbaglio, a soli cinque anni di reclusione.

Pochi giorni fa, le dichiarazioni dei vicini di casa Ciontoli, a Ladispoli, portate alla luce dal programma Le Iene, avevano riferito alcune notizie totalmente inascoltate e passate inosservate agli occhi degli inquirenti. Ieri sera, anche i due infermieri che hanno soccorso Marco, Ilaria e Christian, hanno detto la loro.

I due hanno raccontato quei momenti passati in casa, nella notte tra il 17 e 18 maggio 2015, quando Marco moriva dissanguato dopo che un proiettile aveva trapassato il braccio e poi il cuore. “Avrei voluto fare di più se me lo avessero concesso, ma siamo stati ingannati”, dice Ilaria. “Siamo scesi dall’ambulanza e ho chiesto a Martina cosa fosse successo. Lei mi ha detto ‘Non so, non c’ero, sono appena arrivata”.

Nessuno, in casa, accennava al colpo di arma da fuoco. E se si può considerare il proiettile, come un colpo partito per sbaglio, quindi senza dole, non si può fare lo stesso per i momenti dopo. Chiamate al pronto soccorso, poi annullate; la scusa di una caduta su un pettine; tre ore in attesa, senza intervenire. Tutto, per coprire la realtà dei fatti. Per cercare una scusa valida, plausibile.

Antonio Ciontoli, dice Christian, avrebbe detto che, mentre i due scherzavano su una partita di calcio, Marco “è scivolato, si è ferito con un pettine a punta ed è stato poi colto da un attacco di panico”. Solo al Pronto Soccorso, infatti, Ciontoli raccontò dello sparo. “Abbiamo capito che c’era qualcosa che non andava e che non si trattava di un attacco di panico, perciò abbiamo portato il codice da verde a rosso”, dice ancora Ilaria. A lei, il capofamiglia avrebbe parlato di un banale attacco di panico, non di un colpo di pistola. Tra l’altro, il foro era piccolissimo, quasi cicatrizzato: “Una bruciatura di sigaretta, Marco non era sporco di sangue”, continua l’infermiera.

Anche in loro, come nei vicini, resta l’angoscia e il rimorso per non aver fatto di più per salvare il ragazzo. Privi di tutte le informazioni, infatti, era difficile coordinare un approccio medico che potesse salvargli la vita. “Nell’emergenza esiste la golden hour, nella quale se si raccolgono tutte le informazioni si agisce per tempo. Questo a noi però è stato impedito”, hanno concluso i due.

Fonte: Le Iene

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