La vicina dei Ciontoli: “Un padre padrone, la moglie schiava. Quella sera avevano litigato, e Marco gridava, come un maiale ucciso”
L’omicidio di Marco Vannini ha ancora molti punti oscuri. Le ultime dichiarazioni dei vicini mettono in discussione la versione fornita agli inquirenti dai Ciontoli.
“Niente mi avrebbe riportato la pace, ma per me era giusto che queste persone pagassero, e facessero la galera”. Sono queste le parole di Marina Conte, la mamma di Marco Vannini, il ragazzo ucciso il 17 maggio del 2015 mentre si trovava a casa della fidanzata. Il 29 gennaio si è chiuso il processo d’appello a carico dei Ciontoli – la famiglia accusata dell’omicidio – e Antonio Ciontoli, il capo famiglia, appartenente alle Forze dell’Ordine, ha visto la pena ridursi a soli 5 anni di reclusione per omicidio colposo, senza dole, senza intenzione di uccidere.
Ieri sera, in un servizio andato in onda su Italia1, sono emersi nuovi particolari sulla vicenda. Troppe cose non tornano: non si capisce, tutt’oggi, come è possibile che un colpo sia partito per caso e per sbaglio. Non si capisce neanche cos’è stato fatto, in quell’appartamento, nelle tre ore successive allo sparo, ore fatali per la vita di Marco, deceduto alle 3.10. Non si spiegano – se non con l’intenzione di coprire e nascondere quello che era successo – le chiamate fatte al 118, con in sottofondo le grida di Marco, poi annullate. “Marco Vannini”, dice il medico che ha effettuato l’autopsia, “è deceduto non per il colpo, ma per l’emorragia, cioè per l’omissione di soccorso”.
Eppure, il colpo è stato sentito, e nel palazzo il rumore dello sparo è rimbombato. Tommaso Liuzzi, il vicino dei Ciontoli, ha raccontato che intorno alle 23.00 Martina, la fidanzata di Marco, gridava, forse per una discussione. “Il rumore dello sparo“, dice, “mi ha svegliato. Un boato, poi silenzio, poi le urla, un urlo disumano. Abbiamo pensato che Marco avesse fatto delle stupidaggini, perché chiedeva scusa, scusa Martina, come se avesse sbagliato. E chiamava la mamma”.
La versione di Tommaso Liuzzi pare essere confermata anche da Maria Cristina, la donna che abitava sotto l’appartamento dei Ciontoli, in casa la sera dell’omicidio, e che ha dichiarato di non essere mai stata convocata per testimoniare in procura. “Ho vissuto 20 anni lì sotto, all’apparenza erano tutti bravi, poi si sono rivelate persone cattivissime. Un padre padrone, la moglie schiava, tutti matti, psicopatici. La moglie ha preso un sacco di botte, di schiaffi”, ha detto la donna.
Maria Cristina ha anche raccontato che Antonio Ciontoli parcheggiava la macchina davanti al passo carrabile, tutti i giorni, da vent’anni. Ma quella sera, racconta la donna, rientrata da lavoro, la macchina non c’era. Poi, spiega quello che ha sentito: “Quella sera c’era la partita e quando c’erano le partite cenavano fuori, facevano la brace“, versione confermata anche dalle dichiarazioni dello stesso Ciontoli. Eppure, quella sera, a quanto dice la testimone, in terrazza non c’era nessuno.
“Ho sentito una discussione. Sentivo che stavano litigando. Alle 23.15 ho sentito prima un botto e poi un soffio, ma era un botto soffocato. Non si è capito fosse una pistola. Poi il silenzio, e le scale, un via vai di persone. Poi ‘scusa, scusa Martina, scusa’, ma scusa di cosa? Marco gridava come un maiale ucciso”, ha raccontato tra le lacrime.
Non solo. Pare anche che Mary, la moglie del Ciontoli, si sarebbe recata da entrambi i vicini per concordare le versioni, e anche dalle registrazioni in procura si vedono Martina e il fratello, Federico, accordarsi su cosa dire.
Insomma, vicini mai ascoltati; impronte e tracce di dna mai ritrovate sulla pistola dell’uomo – pistola passata tra le mani di Federico e nascosta sotto le lenzuola, eppure pulitissima da contaminazioni; le scuse di Marco che oggi non trovano giustificazioni; una pistola tirata fuori alle 23.15 di sera, mentre Marco era dentro la vasca, nudo e insaponato; i difetti dell’arma del Ciontoli che mettono in discussione le modalità dello sparo.
Ancora, racconta Maria Cristina: “Federico e Viola“, la sua fidanzata, assolta, “erano scesi anche per spostare la macchina da davanti al cancello per fare entrare l’autoambulanza”.
Ma la macchina non c’era, sostiene la donna. Eppure, tutte queste cose non sono mai state prese in considerazione dagli inquirenti. “Mi sento in colpa, avrei potuto aiutarlo, ma ho pensato che era in un posto tranquillo, in casa c’era una Forza dell’Ordine. Se avessi capito, avrei chiamato io”, ha concluso tra le lacrime. Le stesse lacrime che mamma Marina, dopo la sentenza, continua a versare, in attesa che tutto sia rimesso in gioco.
Chiara Feleppa
Fonte: Le Iene
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