Il 30 gennaio 2002, in una villetta di Montroz, venne trovato morto un bambino di tre anni, Samuele Lorenzi. Aveva inizio il cosiddetto “caso di Cogne”
Un nome che si fa fatica a dimenticare, quello di Annamaria Franzoni, ormai macchiata, da più di dieci anni, di un segno indelebile. Tristemente nota per essere, per l’opinione pubblica e anche per la giustizia, una madre assassina. Come lei, la Panarello, che uccise suo figlio con una fascetta. E come loro, ultimamente, Tony, che ha ucciso il figlio della compagna massacrandolo di botte, a Cardito.
La Franzoni è tornata in libertà, oggi, dopo aver scontato la pena per l’omicidio del figlio Samuele, ucciso il 30 gennaio del 2002 nella sua villetta a Cogne. Ma non sarà facile, la vita, per lei. Se è vero che si è dichiarata sempre innocente, e se è vero che, se è stata lei, la sua pena ormai è scontata, il suo marchio di mamma omicida le resterà per sempre. La Franzoni era da Giugno del 2004 in detenzione domiciliare a Ripoli Santa Cristina, vicino Bologna. Ma la famiglia – lei, il marito e gli altri due figli – sarebbe in procinto ora di trasferirsi, forse per sfuggire ai riflettori e vivere una vita più appartata possibile, per quanto si può. Grazie alla buona condotta, la Franzoni ha potuto usufruire di molti giorni di liberazione anticipata. Per questo, la sua pena è stata espiata con molti mesi di anticipo rispetto alle previsioni, come riportato da Il Corriere della Sera.
“Da un lato sono contenta, dall’altro vorrei trovare la maniera di far capire alla gente che non sono stata io”, ha detto la Franzoni. Anche se, per la maggior parte dell’opinione pubblica, lei è l’unica ad avere responsabilità per l’accaduto.
“E’ finita una storia giudiziaria che la mia cliente ha sempre vissuto nel rispetto delle regole pur professando sempre la propria innocenza”, ha detto Paola Savio, legale di Annamaria Franzoni. “Ora Annamaria spera nell’oblio per sé e per la famiglia. E glielo auguro anch’io”, ha concluso.
Si è detto soddisfatto anche Carlo Taormina, l’avvocato che la difese fino al 2007: “Quando qualcuno esce dal carcere un avvocato è sempre contento, in particolare per lei. L’ho difesa strenuamente contro tutto e tutti perché ero consapevole della sua innocenza. Annamaria ha scontato la sua pena, è giusto che torni libera e che possa svolgere la sua vita in maniera normale, recuperando tutte le limitazioni che ha dovuto subire nella sua attività lavorativa e soprattutto nei rapporti con i figli”, ha detto ospite in radio. Tra lui e la sua ex assistita, però, i conti sarebbero ancora da pareggiare, visto che la donna gli dovrebbe ancora circa 400 mila euro. “Aveva un’abitazione, la villetta di Cogne sulla quale avrei voluto fare il pignoramento, ma non è stato possibile. La rivendevo, che mi importa. E non posso nemmeno rivalermi sui conti correnti, visto che lì non ha una lira. Praticamente m’ha fregato. Posso riprendere quei soldi solo se si mette a lavorare e faccio il pignoramento presso terzi per lo stipendio che prende”, ha detto.
In ultimo, anche Carlo Federico Grasso, il primo dei suoi legali a difendere la donna, si è detto contento per la fine del calvario della Franzoni. “Non vi erano negli atti processuali elementi sufficienti per una condanna penale”, ha detto confermando la sua difesa.
La Franzoni era stata condannata in via definitiva la sera del 21 maggio 2008, quando la Corte di Cassazione confermò la sentenza della Corte di appello di Torino. Ha passato la reclusione nel carcere di Bologna fino al 2014, poi per quasi cinque anni è stata ai domiciliari a Ripoli, con il beneficio del lavoro esterno in una coop sociale e alcuni permessi per stare a casa con la sua famiglia. Ora, può dirsi una donna libera.
La mattina del 30 gennaio 2002, alle ore 8:28, la Franzoni chiamò il 118 chiedendo l’intervento urgente dei soccorsi. “Mio figlio vomitava sangue”, disse in preda al panico. I soccorritori si accorsero subito della situazione, e intuirono che il bambino, ormai deceduto, era vittima di un atto violento e non di un’aneurisma celebrale, come invece sostenne Ada Satragni, il medico di famiglia che arrivò prima sul posto ipotizzando un decesso per cause naturali. Alle 9.55, il piccolo Samuele fu dichiarato morto “a causa di alcuni colpi, almeno diciassette, sferratigli alla testa con un’arma contundente, forse un oggetto di metallo come un mestolo”. Ma l’arma del delitto non è mai stata trovata.
Furono rinvenute tracce di sangue abbondanti, frammenti di osso e materia cerebrale sopra il pigiama della Franzoni, trovato parzialmente nascosto tra le coperte del letto, soltanto diverse ore dopo il delitto. Secondo l’accusa, era il pigiama che la donna indossava nel momento in cui avrebbe colpito il figlio. Furono trovate macchie di sangue di Samuele anche sulle suole e all’interno delle ciabatte da casa della donna. Non c’era indizio, invece, di tracce di sangue nell’appartamento riconducibili a un intruso. Anche gli orari riportavano ad additare come unico colpevole la Franzoni.
Quaranta giorni dopo il delitto, Annamaria Franzoni fu accusata di omicidio e venne arrestata il 14 marzo 2002 con l’accusa di omicidio aggravato dal vincolo di parentela, ma il Tribunale del Riesame di Torino, il 30 marzo ordinò la sua scarcerazione per carenza di indizi.
Il processo di primo grado, il 19 luglio 2004, la condannò a 30 anni di reclusione con rito abbreviato e nel processo d’appello la colpevolezza venne riconfermata, ma la pena venne ridotta a 16 anni di reclusione, grazie alla concessione delle attenuanti.
Fonte: Il Corriere della Sera
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