La famiglia Di Maio assediata da Equitalia e non solo da Equitalia, si direbbe. Alla fine la verità sull’azienda si rivela una storia banale, che solo la narrazione drammatica della stampa mainstream ha voluto e vuole rendere a tinte fosche, per ragioni intuibili e non sempre nobili. La storia di una piccola ditta che tira avanti come può, come tanti, con gli errori tipici di chi tenta di salvare il salvabile e di errori ne commette, certo. Ma non siede nel consiglio di amministrazione di una Banca. Questa è una storia che nasce e finisce in un piccolo paese in provincia di Napoli: Mariglinarella, 8 mila anime qualche giornalista, negli ultimi tempi. Non nasce ad Arezzo e non viene sussurrata nei palazzi del Potere per trovare un aggiustamento. Stiamo parlando dei Di Maio, non dei Boschi o dei Renzi. Ma i Di Maio interessano di più, ora. Tra i primi a dedicarsi “anima e cuore” all’azienda della famiglia di un certo Luigi è stata Conchita Sannino, la giornalista che su Repubblica cura con attenzione le vicende della famiglia, per rivoltarla come un calzino.
Conchita si è occupata tempo addietro, sempre per Repubblica, di una prima “inchiesta” sulla famiglia. Ha reso noto che il padre di Luigi aveva fatto una richiesta di sanatoria nel 1986, 32 anni fa, prima che il vice premier nascesse, per l’abitazione costruita dal nonno nel 1966, 52 anni prima. Il padre di Di Maio, geometra, aveva regolarizzato l’abuso nel 2006, 12 anni fa, quando di anni Luigi ne aveva 20.
Un fatto di ordinaria amministrazione, in Italia, un non fatto se questa banale vicenda amministrativa avesse riguardato una famiglia qualsiasi. Ed erano propriamente una famiglia qualsiasi, i Di Maio, prima che un certo Luigi si mettesse in testa di fare politica e riuscisse in pochi anni a ridicolizzare un partito, il PD, più di quanto questo partito non si fosse ridicolizzato da solo. Sempre ben spalleggiato dalla stampa “libera e indipendente” esperta nell’identificare il politico di turno pericoloso, per vari motivi. Inchieste e doglianze vere e fondate, in alcuni casi. In altri si è avuta la sensazione di una laboratorio letterario, adatto per costruire miti e cosmogonie: veleno e retorica per portare ossigeno al capezzale della Sinistra agonizzante, in attesa che un’inchiesta giudiziaria, una procedura d’infrazione Ue, i mercati, abbattessero il nemico politico di turno e perpetrassero l’illusione dei partito che fu. Ora tocca a Luigi Di Maio e all’azienda del padre. Di carne al fuoco c’è ne poca, al momento. Con Berlusconi era tutta un’altra cosa. Potevi attaccarlo da tutte le parti, qualcosa su cui gettare ombre c’era. Anche se si fini per parlare di ragazzine. Su Di Maio c’è Conchita. L’importante è iniziare, no? E’ brava, seria, e qualcosa di concreto, di suggestivo almeno, tirerà fuori.
L’attacco del pezzo è ad effetto, quello che ci vuole: “Una piccola azienda, tanti interrogativi. Ventitré giorni dopo, una certezza grava su Antonio Di Maio, ma le domande continuano ad aleggiare sul figlio, il vicepremier Luigi. Dopo il caso dei due piani tirati su e il condono ottenuto nel 2006 – scrive Conchita che quasi sembra rammaricarsi di quel condono – ora il padre del capo del M5s è all’attenzione della Procura di Nola per altri abusi edilizi. Dovrà fornire spiegazioni sulla costruzione dei quattro manufatti a Mariglianella...”
Poi vedi le immagini e ti cadono un po’ le braccia. Perchè non hai la sensazione di un’inchiesta ma di un piccolo regolamento di conti tra vicini. Come se Conchita abitasse lì accanto ai Di Maio e non ne potesse più di quella macchina in seconda fila: “Ecco sì, vado in Comune e li rovino a quelli“. Perchè l’inchiesta, al netto di ipotesi ed illazioni, resta una non notizia, tenuta in piedi con tenacia.
“Appare chiaro, oggi – scrive ancora Conchita – che l’imprenditore e geometra Antonio pagava anche in nero alcuni operai...” sentenze sulla vicenda? Nessuna. Conchita lo ribadisce, quasi involontariamente “Dagli atti di una causa di lavoro intentata dall’operaio Mimmo Sposito ora in appello dopo il rigetto deciso dal primo giudice emerge che era proprio il capofamiglia Antonio a gestire i cantieri e pagare, anche in nero, gli stipendi” . Processualmente quindi c’è un rigetto in primo grado della causa di lavoro: ma non è questo, ad interessare Conchita. Quello che a lei preme è riportare altre voci: “era il capofamiglia a pagare in nero gli stipendi” scrive, facendo passare per verità accertata una circostanza che al momento è al vaglio del giudice. E commette anche un errore Conchita, all’interno della propria strategia. Perché sembra dire, senza volerlo, “Luigi non c’entra“.
Ma ecco un altro giro di parole, per creare l’atmosfera adatta. Poche frasi che non dicono nulla, ma servono: “Restano da capire alcuni aspetti della gestione dell’impresa edile di famiglia, operante da anni sul territorio dell’hinterland napoletano. Proprio su quella società si addensano nodi irrisolti. A cominciare dal fatto che Antonio non compare mai formalmente…”
Ci si domanda quando viene al dunque, Conchita. E finalmente ecco l’affondo: “La ditta individuale nata nel 2006, Ardima Costruzioni, è intestata a Paolina Esposito – insegnante oggi preside, madre di Luigi e moglie di Antonio – e risulta ancora attiva agli atti della Camera di Commercio. Questo nonostante il fatto che la Esposito abbia trasferito, il 30 dicembre 2013, con donazione, l’azienda ai figli…”
Beh non sembra uno scoop, con tutta l’ammirazione che può suscitare la testardaggine di Conchita, che stupida non deve essere. E infatti mette le mani avanti, subito: “Una banale dimenticanza, forse“. Dopo aver parlato del nulla Conchita sa che deve concentrarsi sul capofamiglia:
“Antonio continua a lavorare, dietro i figli… rimane al centro dell’attività, anche dopo. Non solo in cantiere. Ma anche in società: è sempre lui, come si desume dalla lettura dei bilanci, a essere delegato dal figlio Luigi per l’assemblea dei soci di Ardima srl, nella quale il vicepremier non ha mai avuto incarichi di gestione“. E anche qui la bella Conchita scagiona il vicepremier, quasi senza volerlo. Dopo riferisce le parole del padre di Luigi, Antonio “«Tenevo molto a quest’attività. Ha sempre avuto per me un valore anche affettivo», dice il padre…” Ma non lo fa per suscitare empatia verso il geometra, ha in mente altro Conchita:
“Ma allora perché non ha mai ricoperto ruoli…C’entra qualcosa l’ipoteca per 172 mila euro che pende sulla sua proprietà? – sottolinea la giornalista di Repubblica – Per fugare ogni dubbio, Di Maio sr – il padre, non il figlio, puntualizza ancora Conchita – potrebbe fare chiarezza sulla natura di quel debito. L’accertamento potrebbe scaturire, in linea teorica, tanto da una cartella “pazza”, quanto da una banale contravvenzione, ma anche da tasse non pagate o irregolarità sui contributi“. Tutte ipotesi al momento. Conchita ha scoperto meno verità dei tre agenti della Municipale alle prese con tre manufatti dal tettuccio di lamiera. Tutte irregolarità ascrivibili ad Antonio. Ma non sarebbe saggio farsi illusioni. A Conchita interessa Luigi.
“….Di sicuro, Luigi Di Maio, entra nell’assetto proprio quando diventa parlamentare. Da quel momento, la sede legale della nuova Ardima srl e la residenza Di Maio – con tutte le tutele parlamentari del socio-deputato, scrive Conchita, che non si spinge oltre – hanno in comune lo stesso indirizzo. Intanto sembra che i “rifiuti speciali” rinvenuti durante il sopralluogo dell’altra mattina nel terreno di famiglia da parte della Municipale si risolvano in un frigorifero. Staremo a vedere.
E ad osservare gli esiti dell’inchiesta – carriole, frigoriferi lamiere, una causa di lavoro intentata da un manvale e una cartells di Equitalia – c’è in prima fila proprio il PD. Non sembra che si passato qui per caso. E’ la stessa Conchita a ricordarlo premunendosi di riportare le parole del deputato del PD, “di consolidata osservanza renziana”, Luciano Nobili «Di Maio deve dirci perché se l’azienda è del padre, che continua ancora oggi a gestirla in prima persona, è stata intestata prima alla moglie e ora ai figli. Se Di Maio non se ne occupa, come dice, perché è intestata a lui e perché fa da prestanome al padre?».
A mettere un tassello mancante nel puzzle dell’azienda Di Maio ci pensa il Giornale, che riprende l’indagine nel punto in cui Repubblica si era presa una pausa. Se Conchita sembra esitare ci pensa Pasquale Napolitano a concludere, concentrandosi anche lui sul padre Antonio: “C’è il sospetto che dietro la decisione di rinunciare a fare impresa in prima persona, ci sia il tentativo di scappare dalle maglie del Fisco” . L’idea sarebbe confermata a alcuni dati di obiettivi: “il 3 settembre 2010, quattro anni dopo la chiusura della ditta artigianale, Equitalia iscrive un’ipoteca legale su due beni di proprietà di Antonio Di Maio. L’ipoteca scatta su due terreni nel Comune di Mariglianella per un debito di 176mila euro”
Anche il Giornale, come Repubblica non sembra sbilanciarsi sui motivi e si limita ad ipotesi: “Un’iscrizione ipotecaria può essere fatta per mille motivi: multe di vario tipo non pagate, bollette, fallimenti, detrazioni fittizie di cui l’Agenzia chiede la restituzione, o ancora tasse e imposte dovute e mai versate all’erario. Il debito potrebbe essere collegato agli anni in cui il genitore del vicepremier svolgeva l’attività imprenditoriale”. Napolitano fornisce un altro elemento: “Nel 2006, quindi, pochi mesi dopo la decisione di chiudere la ditta individuale, la moglie di Antonio Di Maio costituisce una nuova ditta individuale, Ardima Costruzione. L’attività è identica a quella appena sciolta dal marito: la costruzione di edifici residenziali. Dunque, se la missione imprenditoriale è stessa, perché la famiglia di Maio ha deciso di cambiare la scatola societaria?” La conclusione è quasi banale, dicevamo: “Una delle spiegazioni potrebbe essere il contenzioso con Equitalia”. Ma al Giornale non basta, perchè in effetti verrebbe da dire: “tanto rumore per nulla”.
Così Napolitano riprende il discorso, in maniera intrigante, e chissà dove si andrà a finire, si pesa. Vediamo: “Ma c’è un buco nero. Di quattro anni, che il padre del vicepremier potrebbe aiutare a chiarire: tra il 2006, l’anno di nascita di Ardima – dopo la chiusura della vecchia ditta – e il 2010 quando Equitalia fa scattare l’ipoteca sui beni di Di Maio senior. Quattro anni in cui in cui sarebbe potuto nascere un contenzioso tra il Fisco e il padre del vicepremier. Fino ad arrivare, nel 2010, all’azione sui beni. Il terzo anello si chiude nel 2013. Quando la ditta individuale, intestata alla moglie insegnante Paolina Esposito, confluisce in Ardima Srl: le quote sono assegnate ai due figli, Luigi Di Maio, all’epoca vicepresidente della Camera, e Rosalba Di Maio, architetto. Mentre Giuseppe Di Maio, terzo figlio, assume l’incarico di amministratore”. No, nessun colpo di scena. Semplicemente la storia di un piccolo imprenditore vessato da Fisco, come Repubblica e il Giornale ne hanno scritte a centinaia: Sdegnandosi, mostrando empatia, scrivendo sulla necessità di trovare un diverso rapporto tra politiche fiscali e cittadini. Il problema è che uno di quei piccoli imprenditori con problemi di sopravvivenza si chiama Di Maio. Ed allora è tutta un’altra storia. Scrive il Giornale: “Le attività di famiglia, nell’arco di un trentennio, cambiano per tre volte società…sembra un sistema di scatole cinesi” una vicenda quella della famiglia Di Maio, scrive ancora il quotidiano: “che potrebbe fornire la spiegazione sulla lotta contro il Fisco ingaggiata dal genitore del ministro del Lavoro e sviluppo economico“. Sì, verrebbe da aggiungere, osservazione esatta. Perchè i mali non sono come i giornali maistream. Non tutti vengono per nuocere,
Intanto, solidarietà nei confronti del leader pentastellato è stata espressa Matteo Salvini a Porta a Porta. «Ho mandato un messaggio a Luigi Di Maio», contro il quale, ha sottolineato il Ministro dell’interno sarebbe in atto «un linciaggio mediatico, stanno arrivando alla quinta o sesta generazione. Mi fido di Luigi, gli ho espresso la mia totale solidarietà. La vita privata, mamma, papà, fidanzata, devono rimanere fuori, forse anche noi abbiamo sbagliato in passato su questo». Fossimo in Salvini cominceremmo con gli interrogatori in famiglia, ad iniziare dai nonni se ce ne sono. Non si illuda che il PD si sia rassegnato ad accettare l’esito del 4 marzo. Non è nel suo Dna.
Fonti: Repubblica, Il Giornale, Porta a Porta
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