Caso Orlandi:il fratello Pietro, che da 35 anni anni si batte per conoscere la verità sulla scomparsa della sorella Emanuela, cerca di riportare l’attenzione su ciò che è accaduto nel 1983.
E non è la sola. Proprio Pietro ha infatti condotto poco tempo fa su Crime+Investigation “Scomparsi”, 5 docufiction che hanno raccontato 5 sparizioni: da Federica Farinella a Emanuele Arcamone, da David Fedi a Nicholas Ravaioli e Fabrizio Catalano. Madri, padri, famiglie che soffrono come sta soffrendo lui da troppo tempo. Emanuela c’è sempre nei pensieri di Pietro, anche e soprattutto in questi giorni in cui sono state ritrovate delle ossa nella sede della Nunziatura Apostolica, come riportato da Dire.
Il fratello della Orlandi è però molto prudente: “Dopo tante docce fredde resto prudente. Troppe disillusioni. Certo, ogni novità la reputo importante. Sono determinato a fare di tutto perché la verità emerga e fiducioso che un giorno emergerà. Ma resto prudente. Fino a che non trovano un corpo e lo identificano con chiarezza, io Emanuela voglio cercarla viva”.
Il fratello della Orlandi dice che a colpirlo è il fatto che la Gendarmeria vaticana abbia da subito ipotizzato che si trattassero delle ossa o di Emanuela o di Mirella Gregori, altra quindicenne scomparsa in circostanze analoghe a maggio 1983 e mai più trovata. “Come hanno fatto il collegamento? Potevano essere ossa vecchie di molte decine, magari centinaia di anni. Da dove scatta l’automatismo? Loro di solito tengono le cose riservate, diciamo. Perché tanta tempestività? Forse sanno qualcosa che noi non sappiamo?”.
Secondo Orlandi anche i diversi Pontefici che si sono succeduti sapevano e sanno: “Una certezza più che una convinzione. Ne sono sicuro al 100% Qualcuno sa e fa di tutto perché la verità non venga fuori“. E anche Papa Francesco, che la famiglia ha incontrato 20 giorni dopo la sua elezione nel 2013, ha detto agli Orlandi che Emanuela è morta: “Ci disse ‘lei sta in cielo’. Due volte lo ripeté, a mia madre e a me. Le sue parole mi hanno fatto gelare il sangue”.
Da quel momento, dice Pietro, l’atteggiamento del Vaticano è stato di chiusura più totale: “Ho chiesto quattro volte un incontro privato al Papa, ma non ci è stato concesso. Pensavo, speravo, che ci fosse la volontà a collaborare, ma sinora questa non è per nulla emersa. Anzi. Nessun passo in avanti, ma chiusura totale. Adesso vediamo. Se il Dna confermasse che i resti sono i suoi si aprirebbe una pista investigativa niente male. Dovrebbero spiegare perché erano là”.
Fonte: Dire
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