Il racconto più straziante è sempre il loro, quello dei Vigili del fuoco. E, tra loro, l’impatto più forte è stato quello che hanno dovuto sostenere i primi soccorritori per il disastro di Ponte Morandi a Genova. Sono 15 uomini partiti da via Codussi subito dopo il crollo:auto irriconoscibili, corpi nello stesso stato affidati alle loro prime cure. Disperate e professionali allo stesso tempo. Di questi quindici undici fanno parte delle squadre Usar, gli specialisti nelle ricerche di persone in caso di catastrofi, due si occupano del carro luce per illuminare di notte e poi ci sono un autista e un funzionario. «Adesso davanti a me vedo una macchina che non è più una macchina. Io so cos’è perché siamo risaliti dalla targa, ma nessuno potrebbe capire che era una Bmw». Sono scene ormai abituali per chi si è abituato alla straordinarietà del disastro. Le parole di Paolo e Domenico, raccolte da Il Corriere della Sera, nei pochi minuti di pausa di un lavoro incessante spiegano la tragedia dall’interno, al di là delle immagini. Racconta Paolo: “Ho partecipato al recupero di un autocarro con l’autista dentro e di una vettura dove ci avevano segnalato la presenza solo del conducente. Abbiamo scavato, raggiunto la macchina sepolta e scoperto che c’era anche il passeggero“. Per entrambi non c’era nulla da fare. Le vittime non sono più tra i resti visibili in superficie, ora, sono sotto tonnellate di cemento. «Il volume e i pesi delle strutture sono importanti, stiamo intervenendo con escavatori con martelli pneumatici e pinze demolitrici. L’area è suddivisa per settori. Per ognuno, si inizia effettuando una ricerca “primaria”, per così dire, cioè si ispezionano tutti i fori, a vista e a voce. Se si intercettano auto o persone, la squadra si concentra su di loro».
Fonte: Il Corriere della Sera
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