Genova, il vigile del fuoco: “Ho visto l’orsacchiotto della bambina e ho pianto”

Il racconto più straziante è sempre il loro, quello dei Vigili del fuoco. E, tra loro, l’impatto più forte è stato quello che hanno dovuto sostenere i primi soccorritori per il disastro di Ponte Morandi a Genova. Sono 15 uomini partiti da via Codussi subito dopo il crollo:auto irriconoscibili, corpi nello stesso stato affidati alle loro prime cure. Disperate e professionali allo stesso tempo. Di questi quindici undici fanno parte delle squadre Usar, gli specialisti nelle ricerche di persone in caso di catastrofi, due si occupano del carro luce per illuminare di notte e poi ci sono un autista e un funzionario. «Adesso davanti a me vedo una macchina che non è più una macchina. Io so cos’è perché siamo risaliti dalla targa, ma nessuno potrebbe capire che era una Bmw». Sono scene ormai abituali per chi si è abituato alla straordinarietà del disastro. Le parole di Paolo e Domenico, raccolte da Il Corriere della Sera, nei pochi minuti di pausa di un lavoro incessante spiegano la tragedia dall’interno, al di là delle immagini. Racconta Paolo: “Ho partecipato al recupero di un autocarro con l’autista dentro e di una vettura dove ci avevano segnalato la presenza solo del conducente. Abbiamo scavato, raggiunto la macchina sepolta e scoperto che c’era anche il passeggero“. Per entrambi non c’era nulla da fare. Le vittime non sono più tra i resti visibili in superficie, ora, sono sotto tonnellate di cemento. «Il volume e i pesi delle strutture sono importanti, stiamo intervenendo con escavatori con martelli pneumatici e pinze demolitrici. L’area è suddivisa per settori. Per ognuno, si inizia effettuando una ricerca “primaria”, per così dire, cioè si ispezionano tutti i fori, a vista e a voce. Se si intercettano auto o persone, la squadra si concentra su di loro».

Domenico a fine anno andrà in pensione. «Li ho fatti tutti — dice riferendosi a terremoti, alluvioni e disastri — anche quello della Moby Prince». Dieci aprile 1991, centoquaranta morti nel traghetto bruciato dopo la collisione con una petroliera. «Tirammo fuori 48 morti, ma non mi fece così impressione. Qui è straziante. Siamo abituati alle tragedie, quotidianamente interveniamo sugli incidenti stradali. Però questo ponte ti colpisce. Guardandolo dal basso verso l’alto, ti rendi conto di quello che devono avere provato le persone che sono precipitate nel vuoto». Come la bambina dell’orsacchiotto. «La macchina era irriconoscibile, dentro c’erano mamma, papà, un bambino di 8 e una bambina di 3 anni. Quando ho visto l’orsacchiotto, ho pianto, lo ammetto». Chi fossero o da dove venissero Domenico non lo sa. «Noi ci fermiamo al nostro lavoro». Non sa nulla nemmeno della ragazza morta insieme al suo cane né del padre che ieri s’è trovato davanti. Faccia a faccia. «Cercava il figlio, mi chiedeva come fare. Gli ho dato dell’acqua, non ci sono parole in una situazione del genere».

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Fonte: Il Corriere della Sera

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