Roberto Saviano e la diffamazione. Lo scrittore dovrà rivedere molto della sua strategia comunicativa, anche e sopratutto nei confronti del Ministro dell’Interno Matteo Salvini, fatto oggetto negli ultimi tempi di frasi che vanno al di là del legittimo dritto di critica e non aver rettificato. Una settimana fa lo scrittore pubblicava su Instagram la foto di un murales che lo ritraeva dietro le sbarre con la scritta; “Sogno di un ministro in una notte di mezza estate” commentandola divertito:
robertosaviano_officialSpesso l’arte anticipa la realtà o, come in questo caso, la esorcizza. Grazie a @cdonatimeyer per il “Sogno di un ministro in una notte di mezza estate.” #StreetArt #Milan
Ora una condanna, non sognata ma reale, può aiutarlo a riflettere meglio e impostare diversamente le sua vis polemica. Saviano e la Mondadori sono stati ritenuti responsabili per un passaggio del libro ‘Gomorra‘ in cui si legge che Vincenzo Boccolato, imprenditore incensurato che vive all’estero, fa parte di un clan camorristico con un ruolo non marginale in un traffico di cocaina. Per la giustizia questa affermazione non corrisponde al vero e l’imprenditore, diffamato in un libro che ha avuto una fortuna editoriale e quindi una diffusione enorme, deve essere risarcito.
Per questo il giudice ha stabilito che Roberto Saviano e la Mondadori Libri dovranno versare in solido 15 mila euro oltre alle spese processuali allo stesso imprenditore, come riportato dall’Ansa. Boccolato era già stato risarcito con 30 mila euro quattro anni fa per via di una sentenza diventata definitiva. Il provvedimento è stato firmato dal giudice della prima sezione civile di Milano Angelo Claudio Ricciardi. Saviano e la casa editrice nonostante la precedente condanna hanno ritenuto di continuare a ristampare la stessa edizione, dal 28 novembre 2013, data della sentenza di primo grado, al gennaio 2016, senza depurarla delle espressioni diffamatorie. Ha pesato nella decisione la volontà di Saviano e della Mondatori di non correggere il testo dopo la sentenza di primo grado, sperando di veder accolte le proprie ragioni in Appello.
Dopo la prima sentenza Roberto Saviano scriveva sulla propria pagina Facebook il 13 novembre del 2013:
“Il gruppo Boccolato e il boss Antonio La Torre, in affari, nelle parole del collaboratore di giustizia Stefano Piccirillo (procedimento penale n. 74227/01 R.G.N.R. – Procura della Repubblica di Napoli: “Sono stato in Germania da Enzo Boccolato che è nipote di Mariano La Torre e che aveva un ristorante. Anche in questo caso l’ospitalità mi è stata trovata grazie ai La Torre. Enzo Boccolato insieme ad Antonio La Torre ed un libanese che è titolare di alcuni locali a Filadelfia, ed un tedesco che poi è stato anche a Mondragone a trovare Augusto e che si chiama Thomas e la moglie Stefania, acquistavano abbigliamento in Puglia e lo vendevano a Caracas tramite tale Alfredo “Capiert” che di cognome fa Supino. Questo Capiert portava anche i diamanti dal Venezuela alla Germania. Il gruppo di Boccolato aveva appoggi sia nell’aeroporto di Francoforte che in quello di Caracas. La merce che veniva acquistata non veniva quasi mai pagata ed in questo modo il gruppo lucrava un grosso guadagno. Sempre in Germania avevano la disponibilità di un deposito dove io stesso ho dormito ed io mi occupavo proprio di questo deposito. Nel ristorante di Enzo Boccolato è stato arrestato un rapinatore italiano che aveva fatto delle importanti rapine in Spagna”.
Esiste poi un decreto del Tribunale di Santa Maria Capua -Vetere – scriveva ancora Saviano sulla sua pagina FB – che parla del ”carattere ambiguo” delle conversazioni intercettate tra Enzo Boccolato e i La Torre, nonché dei “frequenti viaggi all’estero compiuti o da compiersi da parte del Boccolato, detto Enzuccio”.
Lo scrittore raccoglieva rumors e suggestioni contro l’imprenditore incensurato e li recapitava al suo pubblico social, con un post che compariva nelle bacheche dei suoi followers i quali, fortunati loro, non dovevano neanche preoccuparsi di cercare la notizia o di verificarla. Garantiva Saviano che concludeva il post con queste parole.
“Il mio lavoro è raccontare e analizzare ciò che accade. Boccolato ha avuto ragione al primo grado del processo civile, ma sono convinto di quanto ho scritto e continuerò a raccontare il potere del clan La Torre senza temere cause e condanne. Difenderò le mie parole in Appello. Difenderò le mie parole sempre”.
Roberto Saviano dunque non rettificava il passaggio e, nonostante la condanna di primo grado, ha continuato a sostenere la sua tesi pubblicamente e a rappresentare l’imprenditore in maniera più che negativa servendosi di alcuni atti processuali a sostegno della propria tesi. Una sorta di ripetizione del processo nella sua pagina social, ma senza contraddittorio e usando l’enorme vantaggio di rivolgersi ad una platea di followers che, infatti tributarono il post con migliaia di like senza aver ascoltato una sola parola di difesa da parte dell’imprenditore o dei suoi avvocati Alessandro Santoro, Sandra Salvigni e Daniela Mirabile. Il post peraltro rimane ancora visibile sulla pagina FB dello scrittore, a distanza di cinque anni e nonostante la sentenza di Apello.
Per il giudice le riedizioni del best seller, con il passaggio ‘incriminato‘, sono da ritenere un “nuovo illecito diffamatorio” con “caratteristiche del tutto analoghe a quelle già accertate in sede civile” non essendo stato “tempestivamente provveduto all’adozione delle necessarie precauzioni a tutela della reputazione del Boccolato“. Dopo la sentenza di primo grado Saviano e la Mondadori potevano fare due cose: o eliminare le affermazioni ritenute “dannose” sotto il profilo patrimoniale e non patrimoniale per l’imprenditore o aggiungere una postilla per informare i lettori della sentenza di condanna di qualche anno fa. Non è stata fatta nessuna delle due cose. Le affermazioni nel libro sono rimaste, come il post che resta lì a diffamare Boccolato nonostante due sentenze. Proprio in quel post Saviano che il suo lavoro è “raccontare quello che accade“. Ma sembra che racconti solo una parte di quello che accade, non rettifichi e non si si scusi mai. Del resto lui è il grande Saviano, non un Boccolato qualsiasi.
Ha “raccontato quello che accade” e scritto sui suoi profili social della condanna al risarcimento per diffamazione il grande Saviano? Sembra di no: su Instagram ha preferito un post con Snoopy e le stesse cadenti
Su FB un post sullo sfruttamento dei migranti nelle campagne del Sud.
Di Boccolato e della condanna al risarcimento per diffamezione neanche l’ombra, per ora. Ah Roberto!
Fonti: Ansa, Facebook Roberto Saviano