“E anche quel giorno in obitorio l’ho baciato, piangendo. Era freddo. Gli occhi erano chiusi, il viso aveva un’espressione quasi serena. Non so se glie l’avessero fatta quelli delle onoranze funebri. L’ho guardato e visto così, prima che chiudessero la bara, con il rumore della saldatura che mi entrava nelle orecchie, l’aria che mi mancava, la vista che si annebbiava. Lui che se ne andava“. È il drammatico racconto fatto da Davide Stival a Simone Toscano di “Quarto Grado”.
“Sai cosa vuol dire comprare i vestiti per tuo figlio di otto anni, morto? E dovergli comprare un foulard, per coprire il collo e i segni dello strangolamento? E un cappellino, perché gli avevano fatto l’autopsia e avevano dovuto ‘operare’ sulla sua testa? – così Davide Stival – Sto male solo a pensarlo di nuovo. Per fortuna ho avuto vicino mia madre e mio padre, senza di loro in quel momento non avrei potuto farcela. E poi aveva iniziato a essermi accanto il mio nuovo avvocato, Daniele Scrofani, che è diventato fin da subito un punto di riferimento“.
Davide Stival ricorda poi l’ultimo saluto al figlio: “Prima che la calassero giù, abbiamo poggiato sulla bara il chimono regalato dalla maestra. E l’abbiamo visto andare via, così: mio figlio, in una bara bianca, ricoperta da metri e metri di terra. Ora capisco cosa vuol dire ‘che la terra ti sia lieve’, perché pensarlo sotto la terra pesante fa male, è un’immagine che non ti fa dormire. Speri sia lieve, leggera, che non gli provochi ‘dolore’. E’ incomprensibile forse, per chi non lo ha vissuto, ma in quei momenti pensi solo a lui, al suo bene”.
Fonti: Ansa, Quarto Grado
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