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“Dissi a Pamela non andare lì è pieno di africani, gentaccia. Lei disse portami lì”

Pamela Mastropietro, parla il tassista. Non aveva documenti, nè cellulare, nè soldi. Aveva tentato di prendere un treno per Roma, perso per un soffio. Poi nella sua vita sono entrati i nigeriani. Ed è finita come sappiamo. A raccontare alcuni dettagli delle ultime ore di Pamela Matropietro, la ragazza uccisa e fatta  a pezzi a Macerata il 30 gennaio scorso è uno dei tre tassisti che ebbe a che fare con lei, Victor Alonso, che tuttavia precisa a Il Resto del Carlino: “Sono stanco di essere scambiato per il tassista abusivo camerunense che portò con Oseghale il corpo di Pamela o di essere scambiato per il tassista che è stato insieme a lei il giorno prima che morisse. Che la gente sappia, almeno, la verità su com’è andata». E la verità è quella di una ragazza indifesa e sbandata, visibilmente in difficoltà. Racconta Alonso al Resto del Carlino: “Saranno state le 9.45 o le 9.50, qui alla stazione. Salita in taxi mi ha chiesto dov’era il Sert. Le ho detto che era molto vicino e che se voleva l’avrei accompagnata. Ma lei ci ha subito ripensato dicendo che non aveva i documenti, e che per di più non era di qui e che per andare al Sert bisogna essere iscritti“. E’ l’ultimo giorno di vita di Pamela. Nel giro di pochissime ore incontrerà un destino. Ma in quel momento potrebbe ancora salvarsi: chiedere di essere riportata in comunità, andare al Sert comunque e chiedere aiuto lì, farsi prestare un cellulare e chiamare la famiglia. Ma Pamela fa una scelta diversa: «Ha detto di portarla ai giardini Diaz. Durante il tragitto le ho detto che però quello era un postaccio, le ho detto di stare attenta, che di solito i giardini sono frequentati da gentaccia. In quel periodo, ricordo che bastava avvicinarsi e quelli che stavano lì dentro si alzavano minacciosi urlando che cosa c’era da guardare”.

Alonso continua a raccontare: “Arrivati ai giardini, abbiamo fatto un giro in auto intorno all’anello, lei guardava fuori dal finestrino. Mi sono fermato davanti alla Rotonda. Prima di scendere mi ha chiesto come avrebbe fatto a chiamarmi per tornare alla stazione, specificando di non avere il telefono. Era chiaro che voleva tornare in stazione per prendere un treno. Le ho lasciato il mio bigliettino, che aveva infilato sul taschino davanti del suo trolley, e le ho detto che semmai si poteva far prestare un telefono se doveva chiamarmi, o che volendo poteva andare a piedi alla stazione, le ho indicato la strada“.

Pamela non aveva soldi: “La corsa veniva a costare circa 8 euro, lei me ne ha dati cinque e poi ha detto che doveva cercare gli spicci. Le ho detto che non importava, che andava bene così. E me ne sono andato. Avevo fretta quella mattina perché avevo una commissione da sbrigare”. In pochissimo tempo trova l’uomo che cercava, Trova un accordo con lui, anche se non aveva più un soldo. E’ Innocent Oseghale, il nigeriano accusato di omicidio. il cui dna è stato trovato sul corpo di Pamela. Alonso ricorda benissimo un dettaglio: “Circa un’ora più tardi ero in auto con mia moglie, rivedo Pamela in via Spalato. Entra in farmacia, dall’altro lato della strada sul marciapiede vedo un africano che la aspetta. Successivamente ai carabinieri ho descritto nel dettaglio l’abbigliamento di lui, mi era rimasto impresso. Poi li vedo dirigersi verso l’ingresso di uno dei palazzi di via Spalato vicini alla piccola area verde“. Per Pamela è la fine. La 18enne originaria di Roma fu stata trovata il giorno successivo, fatta a pezzi in due trolley lasciati lungo la strada a Casette Verdini.

Fonte: Il Resto del Carlino

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Redazione

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