Dal primo gennaio infatti, l’aumento sarà del 1,1 %. Di circa 140 euro annui sarà dunque l’incremento di una pensione di circa 1.000,00 euro, considerata anche la tredicesima mensilità.
Tale misura sarà applicata in modo pieno per gli importi fino a a tre volte il minimo (1.505,67 euro lordi), per poi scendere al 95% per gli assegni fra tre e quattro volte il minimo (1.505-2.007 euro), al 75% per quelli tra quattro e cinque volte il minimo (2.007-2.509 euro), al 50% per quelli tra cinque e sei volte il minimo (2.509-3.011 euro) e al 45% per quelli superiori a 3.011 euro lordi, poco più di 2.100 euro netti.
Assieme all’adeguamento delle pensioni all’inflazione inoltre, l’importo del trattamento minimo da gennaio 2018 passerà da 501,89 a 507,41 euro al mese. Circa 72 euro in più all’anno dunque, comprendendo anche la tredicesima mensilità.
Aumenta inoltre l’assegno sociale per i plurisessantacinquenni senza altri redditi, passando da 448,07 a 453 euro al mese. Assegno che dal 2018 aumenterà la sua soglia d’età a 66 anni e 7 mesi.
Piccolo aumento anche per l’assegno di invalidità civile, che passerà da 279,47 a 282,55 euro, come riportato da Adnkronos.
Altra grande novità in tema di pensioni per il 2018 sarà inoltre l’equiparazione dell’età pensionabile tra uomini e donne, prevista dalla riforma Fornero. Le lavoratrici del settore privato dovranno perfezionare almeno 20 anni di contributi e 66 anni e 7 mesi di età, come già previsto per gli uomini e per le dipendenti del pubblico impiego. Finora era previsto un anno in meno. Nel 2019 però scatterà per tutti i lavoratori l’adeguamento a 67 anni della soglia per accedere alla pensione di vecchiaia.
42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi di contributi per le donne, sia nel pubblico impiego sia nel settore privato, permetteranno ai lavoratori di lasciare il lavoro, al di là dell’età anagrafica.
A partire dai 63 anni d’età si potrà richiedere inoltre Ape sociale, l’assegno anticipato (fino a 1.500 euro lordi) a carico dello Stato.
Portate a 15 le categorie di attività gravose che danno diritto all’Ape, a patto che, oltre ai 63 anni d’età, si abbiano 36 anni di contributi. Possono accedere all’Ape anche i disoccupati senza più ammortizzatori da almeno tre mesi, i lavoratori con disabili a carico e gli invalidi al 74% e più, purché, oltre ad aver compiuto 63 anni, abbiano almeno 30 anni di contributi, come riportato da Il Corriere della Sera.
Inoltre i disoccupati da almeno 24 mesi potranno accedere alla Rita, ovvero la Rendita integrativa anticipata, che può essere utilizzata dai lavoratori iscritti a un fondo pensione complementare, che potranno lasciare il lavoro fino a dieci anni prima rispetto al raggiungimento dei normali requisiti previdenziali.
Sarà possibile per loro attingere al loro fondo previdenziale per prendere un assegno anticipato in attesa della pensione vera.
L’isopensione sarà invece lo strumento che permetterà ai lavoratori dipendenti in esubero di andare in pensione anticipata fino a 4 anni prima, con un costo interamente a carico dell’azienda. La legge di Bilancio 2018 ha ampliato la possibilità di questo prepensionamento fino a 7 anni.
BC
Fonti: Adnkronos, Il Corriere della Sera
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